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venerdì 23 settembre 2016

La liberazione femminista del desiderio

“Valentine de Saint-Point è una di quelle figure libere che fece agli inizi del Novecento l’emancipazione femminile e l’avanguardia artistica, ma di cui la storia cuturale non ha voluto riordare niente”, esordisce la presentazione. Non meritava? E invece sì. Nata nel 1875, pronipote di Lamartine, bella donna, viso modesto e fisico aggressivo, avida di esperienze, è la prima teorica e pratica dell’emancipazione femminile e dell’avanguardia artistica insieme, critica e concorrente del misogino Marinetti in fatto di futurismo. Tutto in lei è speciale: la “donna nuova” che Apollinaire delineava, l’epitome di può dire del primo Novecento, femminista, futurista.
La vita. È la “donna nuova” che chiedeva Apolinaire. Nata aristocratica, orfana di padre presto, si sposa a diciotto anni per uscire di casa, con un anziano professore che dopo quattro anni ha “la buona idea” di morire. Valentine allora, nata Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de Cessiat-Vercell (Vercell era il padre, i due “de” sono materni), prende il nome d’arte dal castello che il bisnonno Lamartine ha abitato, e dopo i canonici trecento giorni di vedovaggio sposa un collega del defunto, Charles Dumont. Che indirizza alla carriera politica – Dumont sarà presto deputato, più volte, e negli anni 1930 ministro sei volte. Mentre lei si dà all’arte: posa per Mucha e Rodin, di cui diventa quasi una manager, dipinge lei stessa, apprezzata da Apollinaire al Salon des Indépendants, scrive e pubblica poesie e romanzi di tono antibovarysta, per la liberazione del desiderio nella donna, pratica il teatro e la danza, che vuole rinnovare, e dopo altri quattro anni accetta il divorzio per colpa – non va nemmeno all’udienza. Tanto più che è già legata in “unione libera” con Ricciotto Canudo, già orientalista a Firenze e teosofo a Roma, a Parigi teorico del “cerebralismo”, e poi del cinema come “settima arte”, oltre che editore, poeta e romanziere - il tipo del “se Parigi c’avesse lu mèri, sarebbe una picola Bèri”. La storia finirà dopo la guerra, da cui Canudo tornerà ferito, come Apollinaire, e come lui dopo qualche anno ne morirà, nel 1923, non prima però di essersi legato a una professoressa di francese, con la quale ha fatto una figlia e ha “regolarizzato la posizione”. Ma Valentine ha già cambiato scena: il desiderio ha lasciato posto allo spiritualismo. Crocerossina in guerra ne esce sopraffatta, e in licenza in Marocco si converte all’islam. Dopo la morte della madre e di Canudo decide di cambiare un’altra volta vita, e s’installa al Cairo, dove passerà i trent’anni fino alla morte nel 1953. Dapprima agitatrice politica, del nazionalismo arabo anti-occidentale,  per questo proscritta dall’ambasciata francese in Egitto. Poi, dopo l’incontro con Guénon, altro convertito, immersa nell’esoterismo..
L’arte. Poesie e romanzi non hanno lasciato il segno, ma sì la loro “materia”: la de-bovaryzzazione della donna, la liberazione femminile e femminista attraverso la diversità, attraverso il desiderio. Poligraga prolifica (Giovanni Lista nella biobibliografia che le dedica, nei suoi vasti repertori del futurismo, elenca non meno di una cinquantina di opere a stampa - compresa una lezione universitaria, “La Femme dans la littérature italienne”), e attivista, sui giornali, con gli spettacoli, in giro per l’Europa e gli Usa, nelle università. Fu teorica e pratica della “metacoria”, il processo innovativo alla radice della danza moderna, con un rilievo non preponderante della musica – non più il balletto per musica. Coi veli e senza. In polemica con le star del momento, Loīe Fuller e Isadora Duncan al decino, Ida Rubinstein in ascesa, giunse fino al Metropolitan di New York – dove fu intervista da Djuna Barnes. Con l’obiettivo, anticipato nel “Teatro della donna”, una conferenza che tenne all’università popolare prigina “La Coopération des Idées” a fine 1912, di “elevare la danza al rango di arte moderna”. Un’arte che “non è soltanto il ritmo plastico sensualmente umano della musica, ma la danza creata, diretta cerebralmente, la danza che esprime un’idea, fissata nelle sue linee severe come la musica lo è nel numero del contrappunto” - ben nota per questo a Mario Verdone, “Drammaturgia e arte totale”. Se non ha fatto la storia del Novecento, ne è il paradigma.
“L’umanità è mediocre” è il suo “Manifesto della donna futurista”. Che in esergo si rifà a Marinetti: “Noi vogliamo glorificare la guerra, la sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle idee che uccidono e il disprezzo della donna”. Quindi in opposizione a Marinetti – in teoria - su questo punto: Valentine ha buon gioco a rifarsi su Marinetti.e non ha bisogno di molte pagine. La brochure si assortisce di due appelli alla lussuria, e dei progetti di Teatro della Donna e di Metacoria, dottrinali e pratici.
In realtà, il manifesto femminista è combinato con Marinetti, spiega Lista nel suo ultimo denso repertorio, “Qu’est-ce que le futurisme?”. È Marinetti che pubblica il “Manifesto”, in contemporanea a Parigi e a Milano, il 25 marzo 1912, così come poi, a gennaio del 1913, il “Manifesto futurista della lussuria”. Dopo aver presieduto qualche giorno prima, l’8 marzo 2012, al debuto di Valentine poeta futurista  alla Casa dello studente a Parigi, con la conferenza “La femme et les lettres”, “confidandole molto probabilmente il ruolo di portabandiera dell’ «azione femminle» del movimento futurista”. Il “Manifesto” di Valentine è pronto in piochi giorni: “Proseguendo la sua strategia di comunicazione, Marinetti dà al manifesto il sottotiolo «Risposta a F.T.Marinetti» e pone lui stesso in esergo la sua frase ormai celebre sul «disprezzo della donna»””. Un disprezzo che egli stesso ha già corretto con l’opuscolo “Contro l’amore e il parlamentarismo” e nella sua rivista “Poesia”, con un “D’Annunzio futurista e il «disprezzo della donna»”. Questo specificando mirato al sentimentalismo e l’idealismo in cui la letteratura avvolge la donna, e il leitmotiv tirannico dell’amore e dell’adulterio nelle lettere latine.
Valentine sta al gioco prendendo a partito Marinetti. Non vuole “spazi” né “diritti” ma libero sfogo alle energie. Sull’esempio di Caterina Sforza, le donne vuole “bestialmente amorose, che, dal Desiderio, consumano fino alla forza di rinnovarsi” – come nel romanzo di un paio d’anni prima che aveva titolato “Une femme e le désir”, una donna e il desiderio..
Jean-Paul Morel, che Valentine de Saint-Point ha esumato in questa brochure, la vuole “non futurista”, ma una che “si serve del metodo marinettiano per far passare le sue idee”. Quello che sarà il femminismo identitario: anche la differenza può dirsi femminista, l’orgoglio. Lista la mostra invece organica al movimento. Che però pone non nella lettera, ma nel rivolgimento del conformismo che si proponeva.
Valentine de Saint-Point, Manifeste de la femme futuriste, Mille-et-une-nuits, pp. 77 € 3

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