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mercoledì 26 aprile 2017

Ma il Veneto va sempre di padre in figlio

Promozionata come l’eterna storia Rai del progresso dell’Italia dalla guerra a oggi, in famiglia, nel rispetto delle donne, nel diritto familiare, un inno all’Italia mite, operosa e coscienziosa, è invece il ritratto di un mondo che non ha cessato di essere quello che era: ciecamente e duramente maschilista. Per chi poco poco conosce le Venezie, al di fuori della recente richezza: un mondo paleomaschilista, in famiglia, con i figli, e nel diritto.
Una sorta di autogoal. Un curioso boomerang nell’ottimismo di maniera dell’emittente pubblica. Qui aggiornato alle location sontuose, che dopo le due serie di Terence Hill fanno testo ma Bibi Ballandi si è msso sulle tracce dei Bernabei, come i Bernabei avevano spostato al Centro-Nord la sontuosità di Degli Esposti e Sironi con i “Montalbano”. Un effetto lusso anzi moltiplicato, con attori di nome e nel ruolo, e una drammaturgia quasi sempre efficace. Comprese in buona misura le scene di sesso, che Milani-Balandi hanno parso in gran numero nella prima puntata, più che in qualsiasi film, anche al cinema, benché in prima serata. Esendo un’altra forma della violenza. Che però – è qui l’effetto boomerang – si perpetua negli affetti familiari, sempre maschilisti. Non più, forse, con urla e ceffoni, ma tacita sì. E accettata.
La location veneta sarà stata scelta nel riequilibrio regionale delle produzioni Rai. Non si spiega altrimenti tanto ottimismo: il maggiorascato è abolito da tempo, ma non in quelle zone, dove tutto volentieri si lega al figlio maschio. I beni e l’attività, e possibilmente un matrimonio dotato, con la casa, di residenza e di vacanza, eccetera: prima viene il figlio maschio.
Su questo sfondo la serie diventerebbe di denuncia. Mentre si vuole positiva, perfino melensa – lo spettatore non si attende che il lieto fine, la figlia che prende in mano l’azienda. Dopo liti, tradimenti, rotture (mariti che lasciano moglie e figli, mogli che lasciano marito e figli), alcol, droghe, e imbrogli. Dopo il solito film di un’ora e mezza-due dilatato in quattro puntate di tre ore l’una.

Riccardo Milani, Di padre in figlia

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