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lunedì 13 novembre 2017

Il manicomio aperto di Lombroso

Un secolo prima di Basaglia e il manicomio aperto, Cesare Lombroso “apriva” il manicomio di Pesaro, di cui era stato nominato direttore nel 1872. Aveva accettato, documenta Vecchiarelli, che s’è imbattuto nella vicenda per caso e vi si è appassionato, svolgendo poi approfondite ricerche, a condizione che si procedesse a un miglioramento igienico-sanitario. Queste le richieste specifiche: rivestimento di sughero per le camere e le celle d’isolamento, aerazione degli ambienti, portando le finestre a livello pavimenti, veri e propri letti invece dei pagliericci in uso, acquisizione di campi per i lavori agricoli, apertura di un laboratorio da fabbro e di uno per la lavorazione di stuoie, pellami, tessuti, legno. Così aveva risposto nel luglio 1971 al Consiglio provinciale di Pesaro, che gli aveva proposto la direzione del manicomio San Benedetto. Nell’ottica di un recupero degli internati in base ad attività a loro congeniali, che li restituisse alla normalità.
Questo allora si poteva, sarà successiva, del 1904, la legge Giolitti che ha fatto dei manicomi dei reclusori. Il recupero era anche funzionale, poiché la maggior parte degli internati non erano clinicamente pazzi, ma solo reclusi dalle famiglie per i più diversi motivi, dall’alcolismo alla depressione, all’epilessia, alle “cattive abitudini”.
Il 22 aprile 1872, un mese dopo aver assunto la direzione, Lombroso faceva un’altra richiesta al Consiglio provinciale: “In conformità a quanto si usa nei migliori Manicomi di Germania e Inghilterra, il sottoscritto ha pensato d’istituire una specie di Diario o bollettino, stampato, e, nella parte letteraria, anche, composto dai ricoverati”. Nacque così il “Diario dell’ospizio di san Benedetto” che Vecchiarelli, titolare di storia dello Spettacolo a Urbino, partito per fare un ritratto del Tasso, pazzo eminente, a Pesaro, alla corte del duca di Urbino, ha scoperto con sorpresa negli archivi del nosocomio ora chiuso. Il suo libro ne è anche un’antologia. Ma soprattutto dà nuova luce su Lombroso, e apre un’altra finestra sul mondo “poetico” degli alienati.
Lombroso resterà pochi mesi a Pesaro, ma il “Diario” sarà continuato da un assistente e dai successivi direttori. Il suo programma, scrisse il 22 aprile al Consiglio, era di “tenere occupati alcuni alienati di singolare ingegno, letterati e tipografi”, e “di diffondere idee più esatte e più nobili sulle condizioni morali degli alienati e rialzarli agli occhi del volgo che considera spesso i dementi come bestie feroci”. Nel poco tempo che passò a Pesaro, creò una scuola elementare per le donne e una di disegno per gli uomini, introdusse la ginastica, oganizzò conferenze, facilitò la cura di animali domestici o esotici, portò gli internati in gita la domenica, riattivò I canali con le famiglie. Questo nel preupposto che l’isolamento di cui soffricano gli internati fosse soprattutto con la famiglia, le origini, l’ambiente. E gli internati risposero, in un italiano non sempre appropriato, ma pieno di immagini e pensieri, conchiusi.
Roberto Vecchiarelli, Cronache dal manicomio, Oltre, pp. 458 € 21


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