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venerdì 20 dicembre 2019

Cronache dell’altro mondo - democratiche (51)

Il più determinato, perfino violento, contro Trump è il gruppo editoriale Condé Nast, “The Ballot” e “The New Yorker”, che sono acquisizioni recenti. Condé Nast è l’editore di “Vogue”. E di “Vanity Fair”, “Glamour”, “GQ”, “GQ Style”, “Allure”, e di buon numero di pubblicazioni per palati fini. Trump si direbbe indigesto, nel paese dell’hot dog e dell’hamburger.
Fanno campagna per la presidenza quindici candidati nel partito Democratico – erano venti un mese fa, sei si sono ritirati, uno si è aggiunto, Bloomberg. Con carriere politiche molto diseguali, da sindaco di paese a governatore di Stato, a senatore, all’ex vice di Obama, Biden. Con grandi differenze di età, fra i 37 e gli 88 anni – Sanders ne ha 78, Biden 77. Un paio miliardari, Steyer e Bloomberg. Dodici hanno maturato il diritto a candidarsi in tv, in dibattiti serali, con lo stesso tempo, rigidamente calcolato. Ora ridotti a sette, con esclusione dei candidati di colore o ispanici. Tutti con ghostwriter e biopic, cioè con un tesoretto elettorale già nutrito.
Le campagne elettorali sono molto dispendiose. In minima parte coperte dai partiti, e solo per i candidati vittoriosi alle primarie. Le quali invece si combattono a spese proprie. Hillary Clinton aveva fondi elettorali senza confronto rispetto a quelli messi in campo dal pur miliardario Trump nel 2016 – è vero che Trump ha vinto.
Il finanziamento largo della campagna elettorale è ritenuto prerequisito di democraticità: il miliardario Bloomberg è escluso dai dibattiti in tv perché non vuole “donazioni”.
Quello di stanotte è il sesto dibattito promozionale televisivo di cui i candidati Democratici ala presidente hanno beneficiato in tre mesi. In America non c’è la par condicio.

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