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venerdì 20 dicembre 2019

Giuda tradito da Gesù

L’embrione della pandemia letteraria di “Giuda” che nel secolo scorso ha imperversato. Di un Giuda guaritore, come Gesù e gli altri seguaci, che si aspettava la ribellione a Roma, e alla fine deluso li abbandona. Una delle ultime opere di De Quincey, probabilmente l’ultima pubblicata, nel 1853 – tre anni dopo seguirà la nuova edizione  del saggio per cui è famoso, “Le confessioni di un mangiatore d’oppio”, ancora ben lucido. Brillante, naturalmente.
Sulla traccia dei suoi soliti “eruditi tedeschi”, De Quincey riflette sui pochi cenni alla fine (alla vita) di Giuda dei suoi compagni di avventura, gli apostoli. Dei quali pure era il tesoriere, cioè uno con esperienza di mondo, oltre a saper fare di conto, non un anonimo: poche parole nel vangelo di Matteo (“egli andò e si impiccò”), e notazioni stravaganti negli “Atti degli Apostoli”. In una “cadde a testa in giù”, in un’altra “si spezzò nel mezzo”, in una terza “i visceri si riversarono fuori”. Ne conclude che non ci fu tradimento ma delusione. I suoi compagni di avventura erano impacciati a trattarne, perché ne avevano condiviso le aspettative – prima di continuare l’opera alla quale col Cristo si erano avviati, di guaritori. 
Giuda è un eroe, in un sentito nazionalistico: uno di “un profondo patriottismo ebraico”. Infine deluso, come tutti i discepoli, dall’incapacità del Cristo di realizzare la restaurazione del trono di Davide. “Non era affatto la religione quello che, prima della crocefissione, ritenevano oggetto dell’insegnamento di Cristo; per loro era la pura e semplice preparazione di un progetto miseramente prosaico di espansione terrena” – loro, i discepoli. Il popolo attendeva un cenno per ribellarsi. E Giuda, “essendo il tesoriere degli apostoli, era verosimilmente quello dotato di maggior discernimento nelle cose terrene e aveva più dimestichezza con gli umori del tempo”.
In originale con la traduzione.
Thomas De Quincey, Giuda Iscariota, Ibis, remainders, pp. 95 € 4


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