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sabato 9 gennaio 2021

Sartre a nudo

“Il dramma dei suoi ultimi anni”, di Sartre, una lettura mozzafiato. Un decennio di decadimento fisico, quasi ricercato, tra alcol e fumo. Raccontato da una delle sue tante donne, la più fedele malgrado tutto, la più avvertita e compassonevole – e migliore scrittrice. Che ne fu la badante per tutto il lungo declino. E diretta, non addolcisce la minestra dopo: “Il dramma dei suoi ultimi anni”, a partire dal 1970, dai suoi 65 anni, “è la conseguenza della sua vita tutta intiera. È a lui che si può applicare la parola di Rilke: «Ognuno porta la sua morte, in sé, come il frtto il suo nocciolo»”. 
Un racconto compassionevole, o onesto, “La cerimonia degli addii”. Sartre, quasi cieco, resta attivo nelle discussioni redazionali alla sua rivista “Le Temps Modernes”. ma non può scrivere, né leggere – gli legge il pomeriggio Simone de Beauvoir.
Nei “Colloqui” Simone de Beauvoir interroga Sartre a lungo sull’infanzia e su ogni altro aspetto della sua vita, privata e di scrittore, sul mondo, se non va a cambiare radicalmente, presto, per esempio nella concezione della letteratura, e sulla letteratura, il mestiere che gli sta a cuore. Non la filosofia, benché sollecitato: i concetti per cui Sartre è Sartre, la continenza, la ricorrenza, l’immigrato, il partito, sono inerti. Il debutto in letteratura, che qui più ricorre, con “La nausea”, fu d’altronde rifiutato dalle case editrici, fu Simone a sostenerlo e imporlo.
Molto ricorrono  gli amici, le amiche, la malattia, la vecchiaia, che rifiuta, malandato e tutto, e quasi non autosufficiente, la boxe (alla Scuola Normale…, in palestra, con incontri anche da dilettante), Camus, Merleau Ponty, Aron. Il rifiuto per tutta la vita del pomodoro e della frutta. L’abuso degli eccitanti, anfetamine e altri prodotti – “ne ho abusato molto, per vent’anni”, scrivendo di filosofia, spesso tutto il tubetto, venticinque compresse ingurgitate insieme la mattina. Con una crisi, nel 1958, “abbastanza grave”. De Beauvoir: “Scrivevate al galoppo, pensavate più veloce di quanto scrivevate”. Sartre: “Correvo, prendevo non una pasticca di corydrane ma dieci alla volta… un tubetto d’ortedrina mi faceva un giorno”. Manca, curiosamente, il rapporto con la madre, con cui pure ha voluto vivere da adulto - a parte il rifiuto del patrigno.
Ma, poi, tanto pensatore, all’epoca “maoista”, nel 1974, l’anno dei colloqui, prima e dopo, la rivoluzione prospetta in riferimento ai Russi, ai Cinesi. E questo la dice tutta sul giudizio politico, sul giudizio di Sartre. Appunti non costruiti, ma danno questa idea: Sartre non ne esce bene - non da eroe, da “Pardaillan”, come si fantasticava da bambino con questo nome di eroe inventato.
La “Cerimonia”, scandita anno dopo anno dal 1970 al 1980, è stata scritta dopo la morte di Sartre, su appunti che Simone de Beauvoir aveva via via evidentemente preso, tanto sono dettagliati e vividi, giorno per giorno. Le lunghe “Conversazioni” (che in questa traduzione danno l’impressione di essere state abbreviate) sono state registrate in albergo a Roma nel 1974, la solita vacanza romana di agosto-settembre di de Beauvoir e Sartre.
I due racconti sono anche una storia, tra le righe, delle tante donne, qui soltanto nominate, che accudiscono Sartre, comunque gli si accompagnano anche nel crollo fisico: Michelle Vian, Olga e Wanda Kosakiewicz (Wanda, amante di Sartre, ebbe una storia con Camus, e questo fu fra le cause del distacco fra i due), Liliane Siegel, a Roma nel 1979 “una giovane americana”, la giovane greca Melina, che era venuta a Parigi per uno studio su Sartre. Questi a un certo punto la dice “troppo interessata”, spiega di averle dato “un po’ di denaro per vivere”, e di averla allontanata. Ma c’è anche dopo. “C’erano molte donne nel su entourage”, nota de Beauvoir nel 1977: “Le sue vechie amiche, nuove amiche. Mi diceva con un tono gioioso: «Non sono mai stao così attorniato dalle donne»”. Con quella che sarà la sua figlia adottiva, Arlette Elkaïm, studia l’ebraico.
Ma ancora nel 1978 de Beauvoir nota: “Frequentava sempre molte giovani: Melina”, la ragazza greca che l’anno prima aveva deciso di lasciare, “e numerose altre. Siccome un giorno si lamentava di lavorare troppo, gli ho detto ridendo: «Troppe giovani». «Ma mi è utile!», mi ha risposto. E in effetti penso che ad esse che doveva molto il gusto di vivere. Con un compiacimento ingenumi ha dichiarato: «Non sono mai piaciuto tanto alle donne»”. Donne che anche manteneva. Nel 1978, nota ancora de Beauvoir, “versava regolarmente ogni mese somme abbastanza consistenti a giovani persone”. Si faceva rifornire dalle giovani amiche di whisky e vodca, e li nascondeva dietro i libro o in un cassetto.
A Olga, apprendiamo, ha scritto una lettera di dodici pagine su Napoli – non confluite in “La regina Albermarle”, la compilazione postuma degli scritti di Sartre su Napoli e Venezia. Olga Kosakiewicz aveva sposato Jacques-Laurent Bost, che era stato amante di Simone de Beauvoir, e la coppia è in rapporti molto amichevoli con Sartre e Simone, li vanno a incontrare anche a Roma. Da ragazza era stata circuita al liceo da Simone de Beauvoir professoressa, e a un certo punto aveva lamentato che il rapporto a tre, con de Beauvoir e Sartre, l’aveva danneggiata psicologicamente. Come le coetanee Bianca Lamblin (ci scriverà sopra, dopo la morte di Sartre e de Beauvoir, un libro indispettito, ma circostanziato, “Mémoires d’une jeune-fille dérangée”) e Natalie Sorokin. Su denuncia della madre di quest’ultima, Simone era stata sospesa dall’insegnamento nel 1943 – sarà riabilitata ala Liberazione, ma non insegnerà più.
Si glissa sull’adesione al Pcf, il partito comunista francese, nel 1952. Dopo tutto quello che Sartre aveva scritto contro lo stesso partito per il caso Nizan – e che riprenderà a scrivere dopo la prima rottura col Partito, nel 1956. Un rapporto a più riprese, un lascia e prendi. Ma con una costante: ogni anno Sartre farà un viaggio in Russia, ospite del Pcus, il partito comunista sovietico, fino al 1965.
Si fa la questione dei premi, che Sartre dice di non aver mai voluto accetare per principio, a aprtire dalla Legione d’onore, il cavalierato francese. E naturalmente si parla del rifiuto del Nobel nel 1964 (che veniva otto anni dopo il Nobel a Camus….). De Beauvoir ricorda che un premio l’ha accettato, in Italia, del Pci, con soldi. Sartre ne dà una curiosa motivazione – ricordando che altri piccoli premi li ha accettati, “per esempio uno nel 1940, un premio populista”, quando era mobilitato: “Non me ne fregava niente di un premio populista, dato che non avevo assolutamente niente in comune con gli scrittori populisti. E così ho accettato”. Il Pci premiava “chi, durante l’occupazione, aveva dato prova di coraggio e d’intelligenza”. Il premio, “evidentemente, non era del tutto conciliabile con la mia teoria”, spiega, ma “i comunisti italiani mi piacevano molto”. Che il premio, a lui che non aveva fatto la Resistenza, venisse su indicazione di Mosca non lo sfiora nemmeno.
Sobrio e anzi reticente sugli Schweitzer, la famiglia materna, di alsaziani cattolici intransigenti. La madre che pure adorava. Il nonno, che l’ha cresciuto. Il cugino della madre poi famoso, il dottor Albert Schweitzer. Di cui non ricorda nulla, limitandosi a dire del nonno: “Stimava il nipote ma non lo capiva”.  
A parte le donne, una vita a caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali, durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in Spagna, invitati e ospiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti, allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione, nel gruppo di Camus. Che all’epoca  è quello che si potrebbe dire un amico – passavano le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta, dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti, Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige. Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche “colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo, per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”, solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
A parte le donne, una vita a caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali, durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in Spagna, invitati e opsiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti, allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione, nel gruppo di Camus, all’epoca quello che si potrebbe dire un amico – passavano le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta, dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti, Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige. Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche “colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo, per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”, solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
Egotista, senza convinzione: “Non voglio essere l’adulto maschio”. E: “Non sono nemmeno un adulto, sono uno della terza età”. Passerà quattro mesi in America, ospite di un programma americano per l’opinione europea, nel 1944, da dove avrebbe scritto delle corrispondenze, forse per “Le Figaro” (ma qui figura inviato per “Combat”, il giornale di Camus, su sollecitazione dello stesso Camus con l’ambasciata americana), senza sapere l’inglese, e senza impararlo. Ora col ricordo di una serie impressionante di lavori non  portati a termine, non conclusi – lo stesso capolavoro, le mileduecento pagine su Flaubrt, “l’idiota della famglia”, sarebbe rimasto a metà. Mentre manca del tutto il ricodo di “Orfeo negro”, il saggio del 1948 con cui introduceva l’“Anthologie de la poésie nègre et malgache” di Senghor, che fece epoca: del razzismo antirazzista.
Un Sartre rimbambito che obietta sempre: “Mi  credi rimbambito ma non è vero”. E: “Mai mi sono sentito vecchio”. Vittima anche di cure e medicamenti sbagliati – tra essi ce ne furono che portavano all’incontinenza urinaria e al mancato controllo degli intestini. Si fa coccolare dalle donne, amanti o ex, che a turno lo accudiscono durate tut la giornata, nei vari giorni dela settimana, perché, dice, gli piace “dipendere”. Di ego sempe immenso – che giustifica: “Troppo ogoglioso per essere vanitoso”.
Con moltissima politica. Ma confusa. Manca in generale l’ambientazione: l’epoca, gli eventi, chi è chi. Molto Sartre discetta della libertà. Ma cose come “liberale è una parola ignobile”. Salvo viaggiare ogni anno, invitato, a Mosca fino per una dozzina di anni - e nel 1968 intrupprsi entusiasta con i “mao”,  i gruppi comunisti di obbedienza cinese post-Sessantotto. E non spiegare mai, se non per aneddoti disinvolti, l’adesione al Pcf e alla ragioni di Mosca  Della Resistenza, che non ha fatto, dà un quadro paradossale: “Alla Liberazione, ho sentito che le forze liberate erano della stessa natura  delle forze naziste, non che avessero gli stessi scopi, che utilizzassero procedimenti come l’assassinio di milioni di Ebrei, di milioni di Russi; ma la forza collettiva, l’obbedienza agli ordini era della stessa specie. E l’esercito americano che arrivava in Europa apparve a molti, me tra essi, come una tirannia”. Si può dire Sartre la personificazione nefasta – ambigua – dell’“impegno”. In altro scritto peraltro, quello su Veneza (pubblicato di recente in ora in “La regina Abermarle”) il teorico, appena sei anni prima, dell’impegno, così lo irrideva: “Tutti militano oggi, è la regola: ho visto vecchie carcasse sfinite reimpegnarsi per dieci anni  nell’«Arte per l’Arte» per militare contro l’«Arte impegnata». Si è militante o miliziano o militare”.
Un curioso quadro, a effetto, questo delle seicento pagine dei “Colloqui”: si passa da sorpresa in sorpresa. Anche per i ruoli assunti per l’occasione dalla coppia, perfino esagaratamente definiti, squilibrati: il genio e l’interprete, il maestro e l’allieva, il re, anche capriccioso, e la serva paziente, il paziente e la badante – il paziente pieno di sé.
Simone de Beauvoir non ha buona fama in molto femminismo, mangiatrice d’uomini e di ragazze, “interessata” a un rapporto con Sartre – le sue stesse biografe sono perplesse. Ma è certamente forte scrittrice, si continua a leggere con interesse. Qui capitalizza Sartre, senza dubbio, ma lo fa lasciandone due quadri memorabili – che si possono leggere anche non avendo letto Sartre, qualora Sartre non si leggesse più.
Simone de Beauvoir, La cerimonia degli addii. Seguita da “Conversazioni con  Jean-Paul Sartre”, Einaudi, pp. 540

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