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martedì 30 novembre 2021

Napoli, in attesa della Pasqua di Resurrezione

Il Giovedì Santo è di Napoli, in attesa di una domenica di Resurrezione. Non un vero intreccio si svolge, ma la riproposizione di ritmi, miti, storie, tradizioni, illusioni: una sorta di identikit della città, illusoria sullo sfondo, sorniona. Un magazzino di robivecchi, vivificato da una lingua ora furbesca, ora colta, anche barocca, e popolare, anche molto – un po’ come ora ci ha (non) abituato la serie “Gomorra”, per suoni più che per parole distinte. Anche i personaggi sono misti – come era un tempo l’uso a teatro: sono un po’ questo e un po’ quello, si travestono, cambiano identità, trasformisti e ambigui. Come Napoli, che attende la sua Pasqua – ma tra il giovedì dei Sepolcri e la domenica di Resurrezione non c’è la Passione?
Non c’è trama, non c’è una storia. Sono lacerti storici, mitici, rituali, e linguistici. Sui toni, più che drammatici, dell’elegia, dolenti. Sullo sfondo della tradizione, sempre comunque spessa e viva, a fronte della piattezza contemporanea, della vita senza memoria.
Un teatro che si vuole in musica, un melodramma. Anche se non risulta ancora mai rappresentata – musiche di De Simone? Doppio insomma l’omaggio a Napoli, città “dai quattro conservatori di Muisca, per la frequente committenza di composizioni musicali per la camera, per il teatro e per la chiesa” – “La città”, spiega De Simone nell’introduzione, “fin dalla seconda metà del Cinquecento, era contrassegnata da un altissimo tasso di consumo musicale, determinato dalla politica dei viceré spagnoli, che con manifestazioni musicali e teatrali stabilivano un rapporto rappresentativo tra il Potere e le varie classi sociali”.
Roberto De Simone, L’opera buffa del Giovedì Santo, Einaudi, pp. XIII-107 € 9,30

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