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martedì 29 marzo 2022

La guerra col cuore

“La storia diplomatica ha spesso il difetto di non tenere conto della forza effettiva di un paese”, esordiva da Ginevra Max Salvadori in una lettera all’“Espresso” del 3 agosto 1975, a seguito di un’evocazione sul settimanale della seconda guerra mondiale. Forza che spesso è mentale più che militare, argomentava lo storico (fratello di Joyce Lussu), con una breve analisi che si attaglia alla guerra in corso in Ucraina.
Si sapeva che la Francia, benché armatissima, non si sarebbe opposta a Hitler. Mentre la Gran Bretagna, in disarmo e adagiata nell’appeasement, in poche settimane fece fronte: “Non eravamo in pochi a ritenere negli anni Trenta che i francesi (senza distinzione di partito o di classe) non potevano ripetere lo sforzo compiuto nel 1914-18, che pur avendo le armi non possedevano la capacità di servirsene, e che in caso di attacco tedesco avrebbero ceduto; e che (di nuovo senza distinzione di partito o di classe) fino al marzo 1939 i britannici, a parte lo stato miserevole dell’esercito e della marina e la pochezza delle forze aeree, non volevano affrontare una guerra. L’occupazione di Praga da parte dei tedeschi fece una profonda impressione sui cittadini britannici, prima che sul governo: una nazione di «appeasers» si trasformò in una nazione di persone decise a combattere. Cosa rara ma non eccezionale, si verificò nel marzo 1939 fra i britannici (ma non fra i francesi, né allora né dopo) una rivolta morale”.

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