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giovedì 25 giugno 2009

Il ritorno dei vescovi, al Centro, a Milano

La Dc (ancora) no. Anche perché non si sono ancora esauriti gli effetti benefici della spalmatura del voto confessionale sui vari partiti e schieramenti – i benefici per esempio furono maggiori con D’Alema che con Berlusconi. Ma l’influenza sul voto politico, da cui per un quindicennio si erano astenuti, ha ripreso ad allettare i vescovi italiani. Anche perché, morto Woytila, e col compiacente cardinal Bertone, non c’è più il ferreo controllo del Vaticano sul coinvolgimento dei vescovi nella politica italiana.
Il ritorno è per ora in direzione di un nuovo Centro. Con Casini, i prodiani, i rutelliani, e quella parte del Pd i cui destini politici non sono legati allo zoccolo duro diessino. Un Centro credibile appunto per il loro sostegno, e quindi in grado di riattrarre i voti “rubati” da Berlusconi e da Bossi. Non tanto quelli dei personaggi minori, Mastella, Rotondi, Pizza, Orlando, lo stesso Lombardo. Il voto del Sud i vescovi sanno di poterlo controllare. Il loro obiettivo sono le forze lombardo-venete che costituiscono l’ossatura del berlusconismo, e si esprimono nella Gelmini e in Formigoni.
Formigoni lo sa, che per preparare la sua (quarta) candidatura alla Regione Lombardia, contro l’ostilità manifesta della Lega, moltiplica i segni di attenzione verso la chiesa. Non tanto verso il cardinale, legato ai suoi nemici politici, quanto verso i vescovi dell’arcidiocesi e della Lombardia tutta. Formigoni fa valere un argomento forte, l’incontrollabilità della Lega, ma i vescovi gli stanno facendo pesare l’endorsement. Con il voto (mancato) a Podestà nel ballottaggio contro Penati. Con puntualizzazioni esasperanti su ogni aspetto delle politica regionale, dalla sanità ai trasporti. E perfino facendogli penare gli appuntamenti.

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