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mercoledì 23 marzo 2011

La guerra del giornalista inutile

Succede in Libia all’opposto che nella guerra del Golfo, “la guerra che non c’è mai stata”. Lì i giornalisti non sapevano nulla di quanto succedeva. In Libia invece, che si trovino a Bengasi invece che a Tripoli, i giornalisti sono inondati di “notizie”. Da molto prima che la guerra cominciasse. Anche di fotomontaggi e foto di scena – si ricorderà che la Reuters dovette ritirare una trentina di foto che scoprì esserle state fornite dai servizi segreti britannici. E non è tutto: sono anche obbligati a “recitarle”. Non a riscontrare notizie e immagini, o comunque a dire quello che vedono, sentono, capiscono, come sempre hanno fatto i giornalisti: devono limitarsi a dire quello che viene loro detto di dire, dalla redazione.
Questo non avviene solo alla Rai. Anche gli inviati delle reti satellitari americani danno netta l’impressione di riferire quello che ascoltano in auricolare, o che gli è stato detto di dire prima del collegamento: sono incerti, si confondono, s’impappinano. Di vero nella guerra c’è solo quello che la Coalizione vuole che si vero. Che forse è normale in tutte le guerre, l’informazione al fronte è sempre stata regolata. Ma all’epoca della televisione e della diretta, il giornalista si scopre specialmente indigente, solo utile.

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