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lunedì 12 novembre 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (151)

Giuseppe Leuzzi

Si discute perché la Scala apra l’anno verdiano con  Wagner. “È come se a Bayreuth aprissero l’anno wagneriano con Verdi”, sussurra un orchestrale a Torno. Senza che la Scala o il Comune si difendano. Perché il fiuto è sempre forte a Milano, il fiuto del vincitore. L’anno non è della Germania?

Similmente per la VW. Che offre alcune diecine di borse di studio a ingegneri neolaureati del Sud Europa. Non una grande spesa, meno di una pubblicità istituzionale nei giornali degli stessi paesi. Una  trovata pubblicitaria eccellente.
Si può trarne un paragone utile con la mancanza di fantasia alla Fiat. Che magari da più lavoro – e non borse – a giovani ingegneri dell’Est Europa o dell’Asia, ma non lo sa. Milano invece ne fa un’occasione per celebrare la Germania invitta.

Si dice che l’unità d’Italia è recente, e va ancora costruita. È invece vecchissima. Ha cambiato pelle più volte, e semmai va vista come una mutazione perpetua, inquieta.

Monti prospetta i paesi del Sud Europa come una Questione Meridionale, nell’intervista con Federico Fubini che apre il libro dei suoi articoli al “Corriere della sera”. Uno scadimento che prospettò per l’Italia nel 1999 all’avvio dell’euro, l’unificazione monetaria dell’Europa, e che oggi ritiene “in parte” intervenuto. Avviene, spiega, quando si entra in un’altra dimensione, o realtà, senza darsene gli strumenti, senza adeguarvisi.

Calabria
Nessun altro Sud suscita sentimenti di “alterità” nei nativi. Non Napoli certamente, non la Puglia né la Sicilia, non la Sardegna. Solo la Calabria suscita collera e repulsione, tra gli emigrati e gli stazionari in uguale misura. Altrove l’odio-di-sé meridionale è temperato da un’immedesimazione di fondo, non è repulsione. In Calabria può esserlo, e spesso lo è: il più feroce antimeridionalismo, razzista, trova sostenitori e corrispondenti in Calabria (informatori, denunciatori).

Un rifiuto analogo si reperiva nel Terzo Mondo all’epoca del ribellismo, negli anni 1960-1970, e più in quello con più storia, l’America Latina. Ora si riscontra in Africa. Nel Terzo Mondo cioè che non ha trovato una strutturazione, una consistenza sociale, nazionale, dopo il colonialismo, e cerca la libertà nel rifiuto. Che è fatalmente di se stessi.

Ci sono più Lombardo e Lombardi in Calabria che greci e albanesi. Hanno diritto anche loro a una cultura protetta?
Un tempo i lombardi, anche svizzeri, cercavano fortuna al Sud. Un tempo remoto, molti secoli fa, e recente, degli affari dopo l’unità.

“Ho guardato Aspromonte”, scriveva a un amico Pascoli ellittico, professore a Messina, “così bello quando è soffiato, alitato, come ho da dire, al tramonto”. Voleva dire afflatus, il latino di cui costruisce un calco: che respira ed è respirato, mosso dai venti.

È stata a lungo il Salento, “Calabria” come luogo di abbondanza. Che si collega all’acqua, al mare? Calabria e Salento sono entrambe due penisole.

Nel viaggio immaginario di Vittorini, “Conversazione in Sicilia”, la Calabria gli si presenta reale: “Paese di fumo e di gallerie, e fischi inenarrabili di treno fermo, nella notte, in bocca a un monte, dinanzi al mare, di nomi da sogni antichi, Amantèa, Maratèa, Gioia Tauro”.

Nel 1924, dopo il delitto Matteotti, pervenne a Reggio non si sa come la notizia che il fascismo era crollato. La città scese per le strade, in un a manifestazione di giubilo, in testa i caporioni del fascismo.

A zannella
Viene derivata dagli etimologisti, compreso il Rohlfs, da Zane o Zanne, nel senso di Gianni. Ma piace connetterla agli zanni della commedia dell’arte, il servo astuto, il trickster insidioso, il giufà o finto tonto. Una figura tra la beffa e la bestemmia, uno sberleffo alla realtà, che sempre il povero (solo,  derelitto, sfortunato) vuole matrigna.
È una pratica costante, quotidiana, di cui gli aneddoti sono quindi infiniti. Antonio Delfino vi eccelle, misurato, nelle sue raccolte di racconti, “La nave della ‘ndrangheta”, “Il raglio dell’asino”. Umberto Santino, introducendo la raccolta di Domenico Zappone, “Il pane della Sibilla”, da lui curata attorno ai “luoghi di Corrado Alvaro”, ne ricorda due stravaganze per cui lo scrittore palmese divenne famigerato negli anni 1950: “Corrispondente da Palmi della sede Rai regionale, diffuse per radio due notizie che destarono grande attenzione e che commossero”. Di un pescespada maschio che si arena alla marina di Palmi “per seguire lo stesso destino di morte della femmina che era stata arpionata”. E “quella di Bobby, il cane che attraverso a nuoto lo Stretto per tornare a Scilla dal padrone che, col cuore straziato, lo aveva abbandonato a Messina perché non poteva pagare la tassa comunale”.
A Brancaleone al tempo del confino di Pavese, nel 1935, uno stimato medico, Vincenzo de Angelis, aveva inventato e praticava a maggio la Festa del Riposo. Avendo Mussolini abolito il Primo maggio, il dottore, socialista, massone, antifascista, convitava i concittadini a bere liberamente, in campagna in cima al paese, e a fischiare. Distribuiva infatti fischietti a volontà, che in coro si esercitavano liberamente.
L’ultimo caso è quello della cittadinanza onoraria di san Giovanni in Fiore a Barack Obama, candidato alla Casa Bianca, a fine agosto 2008. Per avere fatto riferimento, “per tre volte”, all’abate Gioacchino da Fiore nei suoi discorsi. Il “tre volte” evangelico, per discorsi che Obama non s’era neppure sognato. Senza problemi: il sindaco che gli “concesse” la cittadinanza, con tanto di delibera, poi non gliela inviò – se la storia non è di Pippo Marra, l’editore-direttore di AdnKronos International, che la redasse in ottima forma. Solo, la cosa fece il giro del mondo. Sei mesi dopo il Vaticano si costrinse a spiegare che “il monaco di Obama” era un eretico. E un’altra ondata pubblicistica si sollevò.  

In Jane Austen qualcuno ha “la non incerta impressione che l’ironia sia un insulto celato in un sorriso”. Ma bisogna essere granitici per pensarlo, tutti d’un blocco. L’ironia è anzitutto uno scherzo, una forma giocosa. Può essere una forma di crudeltà. Ma più allora allora, in questa forma istintiva e costante, contro se stessiLa stessa “ironia corrosiva” che è la cifra di Zappone, e l’“eccesso”, Santino imputa alle “dolorose condizioni esistenziali” dello scrittore – sopravvisse trent’anni a una grave ferita di guerra. Ma si può meglio imputarli a un disadattamento, o indiretto ribellismo, esistenziale e sociale insieme, e perfino regionale. Per quell’etichetta “Calabria” sovrimpressa – non sempre ostilmente – e ormai indelebile, interiorizzata. Che non si accetta e non si sa rifiutare. 

leuzzi@antiit.eu

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