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martedì 8 luglio 2014

L’Italia è padre per Colette

Copertina verde reseda, come le divise degli ufficiali italiani nella grande guerra, nell’italiano fluido, “colettiano”, di Angelo Molica Franco, la grande guerra raccontata da Colette. Un recupero di prose dimenticate, sparse per vari giornali, che merita l’impegno. Colette si aggira per le retrovie, di Francia e d’Italia, ma non svagata sotto lo scontato manto patriottico: di ogni scena o evento lascia tracce in vario modo memorabili. I mutilati, giovani, i corpi disintegrati al fronte, il cibo, sempre ottimo e abbondante al fronte, senza ironia, e la fame, nelle campagne, il patriottismo vestimentario delle donne. Sempre gatti e cani migliori delle donne, fedeli. E l’Italia
In Italia Colette non vede la guerra, a Roma, a villa Borghese, o a villa Medici, a Venezia, al lago di Como. Ma sa cose dell’Italia che l’odio-di-sé ancora non ha cancellato. La pedagogia, sconosciuta in Francia, ai borghesi come ai contadini: la maternità soprattutto (anche la paternità). L’istruzione estetica nelle piazze. L’opulenza lombarda, di fascino, personalità, ricchezza propriamente detta, saggezza. E il ricordo del padre.
Altrove assente, anche se Colette ha scritto moltissimo, il “capitano” qui domina. Mutilato lui stesso di una gamba da giovane a Melegnano nel 1859, e tuttavia sempre poi, per quasi mezzo secolo, nostalgico. “In piedi e ancora così vivo a settant’anni sulla sua unica gamba, cantava delle canzoni italiane e quasi ringiovaniva a dipingerci con le parole,  fiori, il sole, le donne dell’Italia”. Grande lettore di Balzac, autore di una quindicina di volumi, che la figlia ritrovò alla morte ordinati sullo scaffale. Rilegati, titolati, con una dedica alla moglie, che sarà la “Sido” di tanta Colette, vuoti: le pagine, di ottima carta, erano bianche. Uno che voleva scrivere e non potè. 
Con una chicca per gli storici. “Il Messia? Ma in Austria è Giolitti. In Austria si parla del ritorno di Giolitti, con la erre maiuscola”. Giolitti o la neutralità dell’Italia. Colette se lo fa spiegare, ancora nel 1916, a Lugano,”che trabocca di tedeschi e austriaci”, dal principe Hohenlohe, austriaco di Venezia.
Colette, Le ore lunghe, 1914-1917, Del Vecchio, pp. 231 € 14

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