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domenica 15 novembre 2015

L’opinione pubblica è poco informata

Il primo tentativo di inquadrare questo fenomeno novecentesco, l’opinione pubblica, che doveva sostantivare la democrazia come patrimonio dell’individuo, attraverso l’informazione diffusa, è un k.o., autoinflitto. Da parte di un giornalista influente e fondatore di giornali, “New Republic”. Le parti sono già fatte nell’introduzione: “Il mondo reale è insieme troppo grande e complesso, e  troppo volatile per una conoscenza diretta”. La cognizione-acquisizione della sua realtà ognuno quindi se la fa col suo bagaglio mentale, soggettivo, prevenuto, e necessariamente limitato. E da solo anzi non ce la fa.
Lippmann, che sarà poi influente commentatore politico (suo è il conio di “guerra fredda”, della “fabbrica del  consenso”,e del concetto di “stereotipo”), era un democratico, collaboratore del presidente Wilson negli stessi mesi in cui scriveva questo “Public Opinion”, in qualità di capo ricercatore per i negoziati di pace che concludevano la guerra. Ma il fatto è che “viviamo nello stesso mondo, ma pensiamo e sentiamo in mondi diversi”. Senza per questo essere esclusi dai processi decisionali: il saggio di Lippmann è un’apologia del giornalismo, a cui delega la funzione di chiarire al pubblico i temi in discussione, e soprattutto di mettere in chiaro le azioni e i disegni del potere.
Lippmann condivideva l’illusione “pubblicistica, della openness, di Wilson. Ma conclude a una concezione mediata, anche elitistica contro le premesse (tecnica, autocratica), dell’opinione pubblica. Realistica, certo, e non idealistica.
L’opinione pubblica è giudizio e pregiudizio. Più questo che quello. Ed è una forma di difesa più che di conoscenza. Questo era vero quando Lippmann pubblicò la sua riflessione, nel 1922, al termpo delle ideologie montanti, ed è vero anche oggi, che l’opinione va allo sbando, senza “linea” e senza argini.
Walter Lippmann, L’opinione pubblica, Donzelli, pp. XX-304, € 13
Public Opinion, free online

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