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sabato 7 febbraio 2015

Gli emblemi dei gesuiti

È la seconda tappa – con questo titolo, “Studi sul concettismo”, pubblicata a Firenze nel 1946 – di una passione a lungo coltivata. Con una prima edizione nel 1939. E con un seguito nel 1975, una pubblicazione inglese, per le Edizioni di Storia e Letteratura, arricchita da 400 pagine di bibliografia multilingue degli Emblem-Books, approntata durate la guerra e pubblicata nel 1947 dal Warburg Institute. Maniacale, da collezionista di “divise”, “emblemi”, “armi”, etc. ma non solo. Lo specialista è formidabile scrittore, che sa far parlare anche le “cose rimorte” – come lui stesso confida della sua passione: una voga del Cinque-Seicento, seppellita nella biblioteche, per lo più ecclesiastiche.
Il genere per eccellenza, lo vuole Praz, dell’“oraziano utile dulci, la base teoretica di tutta la letteratura fino ai giorni nostri”. Ma con un fine molto pratico, seppure indiretto, pedagogico. Le immagini “sostengono la tecnica ignaziana di applicare i sensi per aiutare l’immaginazione a raffigurarsi in minuti dettagli il trasporto religioso, l’orrore del peccato e il tormento dell’inferno, le delizie di una vita pia. Esse rendevano accessibile a tutti il soprannaturale materializzandolo”. Etc., etc.:, non un progetto da poco: “Invece di mortificare i sensi per concentrare tutte le energie in una tensione ineffabile dello spirito, alla maniera passiva (“purgativa”) dei mistici, i gesuiti volevano tutti  al limite della capacità, in modo da convergere insieme a creare uno stato psicologico di disponibilità all’ordine di Dio. La fissità dell’immagine emblematica era infinitamente suggestiva”.
Mario Praz, Studi sul concettismo, Abscondita, pp. 235 ill. € 22

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